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									Henry Swinburne (Bristol, 1743-Trinidad, 
									1803) 
									 
									
									
									      
									Henry Swinburne (Bristol, 1743-Trinidad, 
									1803), proveniente da una famiglia agiata e 
									avviato alla carriera ecclesiastica, 
									ricevuto una ricca rendita dopo la morte del 
									padre, si dedica alla sua passione per una 
									vita di studio e conoscenza attraverso i 
									viaggi, tappe di un cosmopolitismo che 
									impronterà tutta la sua vita personale e di 
									scrittore. Dopo una lunga permanenza in 
									Spagna (1775-1776), da cui nasce l’opera 
									Travels Through Spain ( Londra 1779), 
									vive, dal dicembre 1776 al maggio 1778 nel 
									Regno di Napoli, girandolo in lungo e largo 
									(altre tappe svolgerà tra 1779 e 1780); il 
									frutto di tanta meticolosa attenzione sono i 
									due volumi Travels in the Two Sicilies by 
									Henry Swinburne, Esq., in the years 1777, 
									1778, 1779 and 1780 (Londra 1783-85) (un 
									libro che ebbe immediato successo e fu 
									tradotto in varie lingue essendo il primo 
									ampio resoconto sul territorio del Regno). 
									Il viaggiatore inglese era un esponente 
									dell’Illuminismo, con un’attenzione 
									meticolosa per il clima, la geologia, 
									l’economia e l’amministrazione: 
									“un’attenzione rigorosa per la verità” è il 
									suo motto; dove altri si fidano del sentito 
									dire, Swinburne si fida solo delle sue 
									osservazioni dirette. Nell’autunno del 1777 
									Swinburne esplora anche la costa d’Amalfi. 
									 Nel suo viaggio di ritorno da Paestum si 
									ferma a Cava. Dopo aver visitato Molina e 
									Marina di Vietri sale a Dragonea, dove al 
									convento fa colazione e, attraverso i 
									boschi, giunge all’Avvocata, dove pranza e 
									nel pomeriggio scende a Maiori, dove 
									pernotta. Il giorno seguente, da Maiori in 
									barca giunge ad Amalfi, vedendo e 
									descrivendo le città sulla costa. Da Amalfi, 
									di nuovo in barca, nel pomeriggio si muove 
									verso il golfo di Napoli, che raggiunge 
									lasciandoci un’attenta descrizione della 
									costa attraversata e soffermandosi, in 
									particolare, sulla pesca del tonno e sul 
									mito delle Sirene, toccando le isolette dei 
									Galli.  | 
								 
								
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									L’Avvocata 
									
									
									     Da questa località [Dragonea], 
									viaggiai fino alle foreste, sopra rocce 
									appuntite e precipizi, giungendo al 
									monastero di Camaldoli, dedicato a Santa 
									Maria dell’Avvocata. L’aria era 
									sfortunatamente così inviluppata nelle 
									nebbie che si vedeva solo per momentanei 
									intervalli, quando colpi di venti 
									squarciavano il velo, sicché potevo 
									indulgere solo con uno sguardo verso la 
									costa e le montagne; invano il sole 
									illuminava per me il paesaggio sottostante; 
									potevo solo percepire quanto brillantemente 
									la scena fosse schiarita dai suoi raggi. Il 
									priore e il suo assistente mi ricevettero 
									molto cortesemente offrendomi ospitalità. 
									Accettai l’invito e mangiai con prontezza un 
									frugale pasto di maccaroni e verdure. 
									O per la fame che aveva fatto svanire tutte 
									le delicatezze epicuree del palato o perché 
									ciò che mi fu offerto era di una bontà fuori 
									dal comune nel suo genere, trovai certamente 
									un grande sollievo da questo pranzo 
									casalingo. 
									
									
									     Dopo pranzo, mi recai nei 
									boschi, dove i frati avevano aperto sentieri 
									lungo la costa della montagna, esattamente 
									nello stesso stile naturale che un montanaro 
									avrebbe adottato una volta chiamato ad 
									intervenire in una situazione analoga. La 
									nebbia aveva ostruito per qualche tempo la 
									vista ma verso sera essa si dileguò e mi 
									strinse la gioia di un panorama estremamente 
									sorprendente. Mi sembrava di guardare da un 
									altro mondo attraverso un’apertura nella 
									volta del cielo. 
									
									
									     Il convento occupa la punta 
									del promontorio che si proietta dalla 
									montagna e ha coste così ripide dagli altri 
									tre lati, che io rabbrividì al primo sguardo 
									verso il basso. Le montagne sorrentine sono 
									in tutta la loro visibilità, mischiate in 
									una rude e maestosa confusione; città e 
									villaggi sembrano come punti in una mappa, e 
									i confini del mare sono persi nel cielo. 
									 
    I monaci camaldolesi sono mandati qui a rotazione da altri 
									conventi; essi conducono 
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									 una dura vita, e per 
									molti scopi di umano e nazionale beneficio, 
									invero inutile; sono completamente soddisfatti 
									dell’estremo vantaggio per sé stessi, in 
									particolare di quanto essi in tal modo 
									divengano ben accetti alla divinità e anche 
									al popolo per l’efficacia delle loro 
									preghiere, le quali fermarono un flagello 
									prima che esso toccasse i colpevoli mortali. 
									Le loro orazioni sono quasi incessanti, e 
									l’applicazione allo studio non è permessa; 
									davvero essi sono efficacemente impediti dal 
									cadere in errore grazie a sette chiamate 
									dalla chiesa ogni giorno, e al costume di 
									pausa e di meditazione per ogni verso del 
									loro ufficio. Essi, tuttavia, godono della 
									libertà di andare fuori e di osservare sanamente con più grande possibilità dei 
									Certosini. L’aria di questi posti è 
									veramente pura, ma è crudelmente disturbata 
									dai temporali specialmente d’inverno, nella 
									quale stagione, una settimana non passa 
									senza che qualcuna delle costruzioni non sia 
									colpita da un fulmine. I monaci affrontano 
									il pericolo con grande spregio, affidandosi 
									coraggiosamente alla protezione della 
									Madonna; essi infatti mi confidarono che un 
									prete era stato colpito presso l’altare e un 
									fratello laico ucciso. I venti erano così 
									poderosi e taglienti che neppure i fiori o i 
									frutti potevano essere piantati, perciò i 
									giardini che appartenevano a ciascuna cella 
									erano piantati solo con ortaggi; talvolta i 
									colpi di vento investono i fratelli laici 
									mentre attraversano il cortile con il pranzo 
									per i monaci e vola via il cestino con le 
									provviste. La neve vi si trova per metà 
									dell’anno. Le rendite del monastero 
									ammontano a 2.000 ducati l’anno e agenti 
									nelle città della costa li approvvigionano 
									quotidianamente di pesce e altri beni 
									necessari. Alle donne è concesso di entrare 
									nel convento solo in due giorni dell’anno; 
									tutti i pellegrini maschi e i viaggiatori 
									sono alloggiati e rifocillati per tre giorni 
									e quando il mare è così mosso da non 
									permettere l’arrivo ad Amalfi e in altri 
									posti della costa, il convento offre un 
									servizio importantissimo ai passeggeri, 
									essendo situato sull’unica strada 
									praticabile attraverso le montagne.  | 
								 
								
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									Maiori 
									
									
									    Nel pomeriggio discesi a 
									Maiori, un paese che comprende cinquemila 
									abitanti, situato sulla spiaggia all’imbocco 
									di una profonda vallata; il torrente che ha 
									formato nel tempo questa valle causa danni 
									frequenti, e spesso spazza via i giardini e 
									le case.  
									 
									  
    
   Le parti più alte della montagna che racchiudono quella valle sono 
									ricche di querce sempreverdi di una taglia 
									minuscola; il sottobosco copre i fianchi; 
									viti e giardini pensili di alberi di arancio 
									riempiono le pendici.  
									La gente di Maiori è attiva e industriosa, 
									commercia in frutti di produzione propria, e  in 
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									macaroni 
									fatti con grano che esportano dalla Puglia: 
									per il loro abile metodo di mescolare e 
									impastare la farina, o per una qualche 
									peculiare eccellenza dell’acqua e del clima, 
									producono la migliore pasta nel regno.
									 
									
									
									Fui ammesso in un giardino 
									appartenente ad un signore adesso in viaggio 
									che io ammirai con gran piacere per quanto 
									esso era adornato in uno stile felicemente 
									adattato alla posizione e al clima. Il 
									palazzo è pulito e arieggiato e i giardini 
									sono tagliati da canali di acqua limpida, 
									ciascuno dei quali crea forti corsi d’acqua 
									tra ricchi profumati giardinetti oppure 
									cadute di cascate attraverso grotte di 
									conchiglie lavorate e ombreggiati pergolati. 
									Nel suo serraglio fui sorpreso di trovare 
									due galli neri e tre galline grigie con 
									buone piume e salute senza soffrire il caldo 
									di questo clima, che dovrebbe costituire 
									causa di malattia per la costituzione di un 
									uccello che apprezza le alte montagne o 
									fredde paludi. Il loro pasto qui è miglio e 
									verdi foglie di lattuga ed altre piante che 
									crescono nel loro recinto. Questi uccelli 
									furono portati dalle montagne di Genova 
									sopra il golfo della Spezia. 
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									Da Maiori ad Amalfi 
									
									
									   
									
									
									l giorno dopo alle otto del 
									mattino, andai per mare con una barca a sei 
									remi. Il tempo era mite e piuttosto 
									nuvoloso, il mare perfettamente calmo e di 
									un colore blu scuro: la vista della costa 
									sublime, le alte montagne sembravano venir 
									fuori dal fondo delle onde, coperte di verde 
									alla sommità eccetto alcuni pinnacoli 
									rocciosi che avevano la funzione di 
									diversificare il paesaggio. Giù a metà 
									strada dal lato delle rocce scorsi molti 
									villaggi; sparsi sempre più folti come 
									l’occhio discende, quasi vicino al fondo la 
									superficie è abbastanza ricoperta da case 
									bianche e aranceti; sui punti più spogli e 
									più torreggianti sono posti conventi e 
									chiese, e nelle più profonde vallate che 
									tagliano la catena montuosa, sono uniti i 
									quattro paesi principali della costiera. La 
									spiaggia è rocciosa e spoglia, trasformata 
									in molte forme romantiche, con cavità cupe, 
									sentieri e costruzioni sospese in un modo 
									pauroso sull’orlo, mentre sotto giace la 
									nobile distesa del mare, ravvivato dalle 
									moltitudini di scialuppe leggere che 
									navigano attraverso la sua superficie. 
									Vicino Maiori c’è un’ampia caverna ricca di 
									stalattiti le quali essendo cadute dalla 
									volta sono state sballottate dalle onde fino 
									a renderle lisce e arrotondate: esse sono di 
									un bianco come il latte e ben lucidate, e 
									sembrano le solidificazioni chiamate 
									Confetti di Tivoli. 
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    Noi passammo prima Minori, un piccolo paese 
									che commercia anche in maccaroni, 
									anticamente l’arsenale di Amalfi, poi 
									girando un promontorio noi posammo i nostri 
									remi a contemplare il paese di Atrani che è 
									stretto tra due strapiombi uniti insieme da 
									costruzioni, una strada serpeggia verso 
									l’alto di questa valle che conduce a Ravello 
									e Scala, due città episcopali, o piuttosto 
									villaggi in conflitto, sulla cima della 
									montagna. | 
								 
								
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									Amalfi 
									
									
									    Giunsi presto alla città di 
									Amalfi; i suoi edifici 
									non sono rimarchevoli per eleganza o per 
									grandezza, e contengono al massimo 
									quattromila abitanti, che hanno l’aria di 
									condurre un esistenza povera. Amalfi è solo 
									un’ombra di ciò che era nel suo stato 
									fiorente, quando si estendeva sulle stupende 
									rocce che stanno sospese su ogni lato 
									tuttora incoronate con muri merlati e torri 
									in rovina. Essa presenta pochi oggetti che 
									possano richiamare alla mente un’idea della 
									sua antica prosperità. La cattedrale è nel 
									meno piacevole di quegli stili 
									architettonici inventati o adottati nelle 
									epoche barbariche, quando le regole e 
									proporzioni greche furono dimenticate. Il 
									campanile è uno dei più brutti di quel tipo, 
									e il portico non ha neanche la leggerezza 
									gotica.   | 
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									Due superbe colonne antiche 
									di granito rosso egiziano piazzate 
									all’entrata del coro, rendono ancora più 
									evidente la bruttezza degli oggetti 
									circostanti. Sotto il coro c’è la cappella e 
									tomba dell’apostolo Sant’Andrea; in onore del 
									quale l’edificio venne dedicato, quando 
									cardinal Capuano nel 1208 portò il suo corpo 
									da Costantinopoli. Questa cripta assomiglia 
									a quella di San Matteo a Salerno nella forma 
									e nella sistemazione dei marmi sulle pareti. 
									
									
									    Vicino all’approdo, c’è un 
									passaggio basso, composto di frammenti di un 
									elegante tempio pagano. Due bellissimi 
									capitelli corinzi, con alcuni pezzi di 
									architrave e lacunari sono sistemati a 
									sostenere l’arco. 
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									La Costa e Li Galli 
									
									
									Avendo ricevuto provviste per 
									il pranzo, io m’imbarcai, e navigai lungo la 
									costa fino alla zona di pesca del tonno. La 
									stagione era inoltrata e il lavoro quasi 
									finito, ma uno dei guardiani mi spiegò ogni 
									parte del macchinario. Le reti sono stese su 
									una grande zona di mare per mezzo di cavi 
									fissati ad ancore, e sono divise in parecchi 
									compartimenti. L’entrata è sempre diretta, a 
									seconda della stagione, verso quella parte 
									del mare dalla quale i pesci sono soliti 
									arrivare. Un uomo piazzato alla sommità di 
									una roccia molto alta, dà il segnale che il 
									pesce sta arrivando; poiché egli da quell’altezza 
									può distinguere molto meglio di qualsiasi 
									persona vicina alla superficie che cosa 
									passa sotto le acque. Non appena è dato 
									avviso che il banco di pesci è penetrato 
									almeno fino al compartimento più interno, o 
									camera della morte, il passaggio viene 
									chiuso ed inizia la mattanza. Gli impresari 
									di queste riserve di pesca pagano un 
									riconoscimento al re, qual signore, sulla 
									cui terra essi fissano la dimora principale, 
									o ‘piede’, della tonnara; essi fanno il 
									miglior contratto che possono, e, fintanto 
									che il successo corona i loro sforzi, essi 
									ottengono questo permesso per un piccolo 
									pagamento; ma dopo, l’affitto è aumentato in 
									proporzione al loro bottino. Il tonno 
									appartiene allo sgombro di Linneo tra i 
									toracici ed entra nel Mediterraneo circa 
									all’equinozio d’inverno, viaggiando in una 
									falange triangolare, così da tagliare le 
									acque, e presentare una grossa base per 
									combattere maree e correnti e spingere 
									avanti. Questi pesci si rifugiano nei mari 
									caldi della Grecia per deporre le uova, 
									dirigendo il loro corso verso le coste 
									europee, ma, quando ritornano si avvicinano 
									alla costa africana; i più giovani sono in 
									testa al branco quando viaggiano. Essi 
									ritornano ad est in maggio, ed abbandonano 
									sulle coste della Sicilia e della Calabria. 
									In autunno si dirigono a nord; nelle 
									vicinanze di Amalfi e Napoli; ma durante 
									l’intera stagione occasionalmente si 
									catturano i dispersi.  
									
									
									Quando sono presi in maggio, 
									il periodo solito della loro apparizione 
									nelle baie calabre, essi sono pieni  di 
									uova, e la loro carne è allora ritenuta 
									nociva, adatta a causare mal di testa e 
									vapori; gli spermi e le uova sono 
									particolarmente così in quella stagione. Per 
									prevenire questi cattivi effetti i nativi li 
									friggono nell’olio e poi li salano. La 
									quantità di questo pesce consumata 
									annualmente nelle Due Sicilie è quasi 
									incalcolabile. Dall’inizio di maggio alla 
									fine di ottobre esso viene mangiato fresco, 
									tutto il resto dell’anno, si usa salato. La 
									parte più delicata è la bocca. La pancia 
									salata era chiamata tarantellum, ed era 
									considerata una grande ghiottoneria dai 
									Romani; il suo nome attualmente è surra. Il 
									resto del corpo è tagliato a fette e messo 
									nei mastelli.  
									
									
									Poi doppiammo Capo Conca, 
									chiamato così da un villaggio costruito sul 
									declivio della montagna. Da questo punto la 
									costa, che fino ad allora si estendeva da 
									Nord-Est a Sud-Ovest prende un’improvvisa 
									svolta a Nord-Ovest e forma una profonda 
									curva; dopo la quale essa si slancia in una 
									linea retta fino alla punta della Campanella 
									e l’isola di Capri; la sua estensione supera 
									di molto l’idea che mi ero fatto da 
									un’ispezione delle carte geografiche ed ha 
									un aspetto molto più monotono e spoglio di 
									quella parte che si trova ad est di Conca. 
									Vicino al capo c’è una roccia chiamata l’Asciola, 
									interamente formata di pietra nera calcarea, 
									libera da ogni mistura di ornamenti marini; 
									essa sembra costituire la grande massa 
									interna delle montagne che fiancheggiano la 
									riva. Nella curva si trova Positano. I 
									villaggi diventavano scarsi mentre ci 
									avvicinavamo al mare aperto. Quando lo 
									stretto di Capri cominciò ad aprirsi sopra 
									di noi, ci dirigemmo a Sud-Ovest verso Li 
									Galli, le presunte Sirenuse o isole una 
									volta abitate dalle Sirene, che Ulisse 
									attraversò con tanta cautela e rischio. 
									Grandi mutazioni si sono avute nella forma, 
									misura e numero, per effetto del fuoco 
									sotterraneo; e molte persone dotte sono 
									andate tanto in là da affermare che queste 
									rocce sono sorte dal fondo del mare da 
									quando Omero cantò le sue rapsodie; e di 
									conseguenza, che quei mostri vissero in un 
									altro posto, probabilmente la Sicilia o 
									Capri. La tradizione delle Sirene tipica del 
									posto è molto antica ed universalmente nota; 
									ma che cosa esse fossero veramente, 
									spogliate del loro favoloso e poetico 
									travestimento, non è facile da scoprire. È 
									noto che tutte le isole italiane in 
									prossimità di lingue di terre sporgenti sul 
									mare, erano ritenute essere il posto di 
									residenza o sepoltura di una dea o sirena; 
									dal che noi possiamo arguire che su quei 
									promontori una volta vivevano alcune femmine 
									sovrane, in tempi di cui non esistono 
									testimonianze. Poiché gli antichi germani e 
									greci erano soliti dare obbedienza a persone 
									del sesso più debole, non è assurdo supporre 
									che gli antichi abitanti d’Italia forse 
									derivavano dalla stessa razza, ed erano 
									anche soliti affidare lo scettro nelle mani 
									di una donna. Il posto che ella sceglieva 
									come sua residenza era, senza dubbio, molto 
									ben fortificato, e ben situato perché i suoi 
									sudditi pirati attaccassero e 
									intercettassero vascelli che navigavano quei 
									mari in età in cui era impossibile navigare 
									ad una certa distanza dalla terra. Così esse 
									possono essere apparse formidabili agli 
									occhi degli uomini con la violenza e con 
									imprese di guerra; ma è più naturale dare 
									alle Sirene il potere nelle arti e nelle 
									corruzioni delle pace, è più consono 
									all’idea che di esse ci siamo fatte. I dolci 
									luoghi appartati che abbondano nella 
									penisola sorrentina, gli incantevoli 
									panorami, l’abbondanza di tutte le cose 
									necessarie ed anche dei lussi della vita e 
									la dolce temperatura del clima non possono 
									mancare di attirare gli stranieri: lì essi 
									devono avere acquistato senza accorgersene 
									un gusto per il piacere e l’indolenza che 
									snervava sia i loro corpi che le loro menti 
									e reso ogni altro paese odioso per loro. 
									Forse in tempi assai remoti, quando l’Italia 
									era posseduta da altre nazioni i cui nomi 
									propri sono oggi sconosciuti, ci fu un 
									periodo di ricchezza, di eleganza, 
									raffinatezza e cultura cui seguirono secoli 
									di barbarismo che hanno cancellato tutti i 
									ricordi di esso: i sudditi delle Sirene 
									possono allora essere stati eccelsi nelle 
									arti e nelle scienze. L’interesse e la 
									politica potrebbero averli resi assai 
									ingegnosi ed industriosi nell’attirare gli 
									stranieri nelle loro residenze, ed 
									ugualmente esperti nel corrompere le loro 
									menti con il vizio e l’effeminatezza. Noi 
									sappiamo quasi certamente che la cultura 
									fiorì in questa parte dell’Europa prima 
									della guerra di Troia, ma essa era 
									probabilmente nelle mani dei sacerdoti; gli 
									antichi riti praticati sulla riva del lago 
									d’Averno rafforzarono questa opinione, la 
									superstizione chiamata in aiuto del vizio 
									deve essere stata irresistibile e reso assai 
									pericoloso per un avventuriero approdare in 
									qualsiasi porto di questa costa. Queste 
									isole sono cinque; sulla più grande c’è una 
									torre di guardia e quella successiva ha un 
									eremo deserto. Toccammo terra su quella 
									principale in una grotta formata da una 
									spaccatura nella grande massa di rocce; una 
									folla di pescatori era venuta dentro a 
									mangiare e ad asciugare le reti. L’isola è 
									solo uno stretto spigolo semicircolare 
									coperto da un leggero strato di terra; altre 
									due piccole isole ed alcune rocce 
									frastagliate che affiorano appena dalle onde 
									corrispondono con questa così da tracciare 
									il contorno di un cratere vulcanico. Sono 
									tutte principalmente di roccia calcarea 
									estremamente compatta, disordinata e confusa 
									con masse di breccia disposte in maniera 
									assai irregolare; sotto queste c’è lava, e 
									più l’occhio scende in profondità più forti 
									sono i segni del fuoco; sotto la superficie 
									dell’acqua, ed alcuni punti sopra di essa, 
									gli strati sono interi blocchi di basalto. 
									Da ciò è giusto presumere che fuochi 
									centrali hanno portati alla luce le sostanze 
									combuste che originariamente giacevano 
									vicino al loro centro, con tutti gli strati 
									intermedi che li coprirono dal mare. Gli 
									strati si inclinano verso il basso da Est ad 
									Ovest; l’aria sembra essersi fatta strada in 
									parte dalla massa vulcanica mentre era in 
									fusione, lasciando molte cavità all’interno 
									di essa quale testimonianza del suo lavorio. 
									
									
									Queste isole sono incolte e 
									disabitate da quando il vecchio eremita di 
									S. Antonio morì. Il mirto ricopre la maggior 
									parte della superficie, ma penso che i fichi 
									ed i crespi di cui alcune piante sono 
									spuntate nelle crepe della roccia, 
									crescerebbero bene qui e produrrebbero una 
									quantità di frutta che potrebbe essere 
									scambiata con una provvista di cibi 
									sufficiente a mantenere alcune famiglie, ed 
									una cisterna potrebbe contenere l’acqua 
									necessaria per il loro uso. 
									 
									
									
									Il nostro pilota che fungeva 
									da cuoco, aveva procurato una assai ricca 
									scorta di patelle, gamberoni e cefali rossi, 
									presi mentre io stavo esaminando la roccia. 
									Il piacere del posto fu aumentato dalla 
									selvatichezza dello scenario. 
									
									
									Di là facemmo vela oltre il 
									canale di Capri e passammo davanti a 
									Donerana [Nerano], ultimo borgo costiero a 
									sud di Punta Campanella. È celebre per i 
									suoi marinai. Si favoleggia che sulla 
									spiaggia convengano spiriti maligni, vittime 
									dell’antico fascino delle Sirene, demoni 
									pagani. Le vigne di Donerana troneggiano tra 
									folti lentischi. Le virtù astringenti di 
									queste piante trapassano nel vino, che quasi 
									soffoca, allorché chi ne abbia bevuto molto 
									si corica di schiena, posizione tipica dei 
									napoletani. Questo pesante timore prende 
									sempre loro qui, essendo sufficiente a 
									intimorire queste persone ignoranti; ma 
									un’altra circostanza fa crescere la paura: 
									le loro orecchie sono investite da continui 
									rolli e rumori di sassi che rotolano sopra 
									di essi. La spiegazione è la seguente: le 
									pietre sono a mezza collina vicine ad un 
									immenso deposito di sassi, portati da un 
									torrente; il rifiuto della cena, che è 
									gettata sopra questi sassi attira una 
									miriade di ratti, che combattono per la 
									preda. Questi animali provocano un 
									prodigioso squittio e nella lotta fanno 
									cadere le pietre smosse nel corso d’acqua. 
									
									
									Noi presto doppiammo il capo 
									e corremmo in quattro ore attraverso il 
									golfo di Napoli.  | 
								 
								 
						 
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