Henry Swinburne (1777)


 

 

Henry Swinburne (Bristol, 1743-Trinidad, 1803)

      Henry Swinburne (Bristol, 1743-Trinidad, 1803), proveniente da una famiglia agiata e avviato alla carriera ecclesiastica, ricevuto una ricca rendita dopo la morte del padre, si dedica alla sua passione per una vita di studio e conoscenza attraverso i viaggi, tappe di un cosmopolitismo che impronterà tutta la sua vita personale e di scrittore. Dopo una lunga permanenza in Spagna (1775-1776), da cui nasce l’opera Travels Through Spain ( Londra 1779), vive, dal dicembre 1776 al maggio 1778 nel Regno di Napoli, girandolo in lungo e largo (altre tappe svolgerà tra 1779 e 1780); il frutto di tanta meticolosa attenzione sono i due volumi Travels in the Two Sicilies by Henry Swinburne, Esq., in the years 1777, 1778, 1779 and 1780 (Londra 1783-85) (un libro che ebbe immediato successo e fu tradotto in varie lingue essendo il primo ampio resoconto sul territorio del Regno). Il viaggiatore inglese era un esponente dell’Illuminismo, con un’attenzione meticolosa per il clima, la geologia, l’economia e l’amministrazione: “un’attenzione rigorosa per la verità” è il suo motto; dove altri si fidano del sentito dire, Swinburne si fida solo delle sue osservazioni dirette. Nell’autunno del 1777 Swinburne esplora anche la costa d’Amalfi.  Nel suo viaggio di ritorno da Paestum si ferma a Cava. Dopo aver visitato Molina e Marina di Vietri sale a Dragonea, dove al convento fa colazione e, attraverso i boschi, giunge all’Avvocata, dove pranza e nel pomeriggio scende a Maiori, dove pernotta. Il giorno seguente, da Maiori in barca giunge ad Amalfi, vedendo e descrivendo le città sulla costa. Da Amalfi, di nuovo in barca, nel pomeriggio si muove verso il golfo di Napoli, che raggiunge lasciandoci un’attenta descrizione della costa attraversata e soffermandosi, in particolare, sulla pesca del tonno e sul mito delle Sirene, toccando le isolette dei Galli.

 
     

L’Avvocata

     Da questa località [Dragonea], viaggiai fino alle foreste, sopra rocce appuntite e precipizi, giungendo al monastero di Camaldoli, dedicato a Santa Maria dell’Avvocata. L’aria era sfortunatamente così inviluppata nelle nebbie che si vedeva solo per momentanei intervalli, quando colpi di venti squarciavano il velo, sicché potevo indulgere solo con uno sguardo verso la costa e le montagne; invano il sole illuminava per me il paesaggio sottostante; potevo solo percepire quanto brillantemente la scena fosse schiarita dai suoi raggi. Il priore e il suo assistente mi ricevettero molto cortesemente offrendomi ospitalità. Accettai l’invito e mangiai con prontezza un frugale pasto di maccaroni e verdure. O per la fame che aveva fatto svanire tutte le delicatezze epicuree del palato o perché ciò che mi fu offerto era di una bontà fuori dal comune nel suo genere, trovai certamente un grande sollievo da questo pranzo casalingo.

     Dopo pranzo, mi recai nei boschi, dove i frati avevano aperto sentieri lungo la costa della montagna, esattamente nello stesso stile naturale che un montanaro avrebbe adottato una volta chiamato ad intervenire in una situazione analoga. La nebbia aveva ostruito per qualche tempo la vista ma verso sera essa si dileguò e mi strinse la gioia di un panorama estremamente sorprendente. Mi sembrava di guardare da un altro mondo attraverso un’apertura nella volta del cielo.

     Il convento occupa la punta del promontorio che si proietta dalla montagna e ha coste così ripide dagli altri tre lati, che io rabbrividì al primo sguardo verso il basso. Le montagne sorrentine sono in tutta la loro visibilità, mischiate in una rude e maestosa confusione; città e villaggi sembrano come punti in una mappa, e i confini del mare sono persi nel cielo.

    I monaci camaldolesi sono mandati qui a rotazione da altri conventi; essi conducono

 

 una dura vita, e per molti scopi di umano e nazionale beneficio, invero inutile; sono completamente soddisfatti dell’estremo vantaggio per sé stessi, in particolare di quanto essi in tal modo divengano ben accetti alla divinità e anche al popolo per l’efficacia delle loro preghiere, le quali fermarono un flagello prima che esso toccasse i colpevoli mortali. Le loro orazioni sono quasi incessanti, e l’applicazione allo studio non è permessa; davvero essi sono efficacemente impediti dal cadere in errore grazie a sette chiamate dalla chiesa ogni giorno, e al costume di pausa e di meditazione per ogni verso del loro ufficio. Essi, tuttavia, godono della libertà di andare fuori e di osservare sanamente con più grande possibilità dei Certosini. L’aria di questi posti è veramente pura, ma è crudelmente disturbata dai temporali specialmente d’inverno, nella quale stagione, una settimana non passa senza che qualcuna delle costruzioni non sia colpita da un fulmine. I monaci affrontano il pericolo con grande spregio, affidandosi coraggiosamente alla protezione della Madonna; essi infatti mi confidarono che un prete era stato colpito presso l’altare e un fratello laico ucciso. I venti erano così poderosi e taglienti che neppure i fiori o i frutti potevano essere piantati, perciò i giardini che appartenevano a ciascuna cella erano piantati solo con ortaggi; talvolta i colpi di vento investono i fratelli laici mentre attraversano il cortile con il pranzo per i monaci e vola via il cestino con le provviste. La neve vi si trova per metà dell’anno. Le rendite del monastero ammontano a 2.000 ducati l’anno e agenti nelle città della costa li approvvigionano quotidianamente di pesce e altri beni necessari. Alle donne è concesso di entrare nel convento solo in due giorni dell’anno; tutti i pellegrini maschi e i viaggiatori sono alloggiati e rifocillati per tre giorni e quando il mare è così mosso da non permettere l’arrivo ad Amalfi e in altri posti della costa, il convento offre un servizio importantissimo ai passeggeri, essendo situato sull’unica strada praticabile attraverso le montagne.

     
     

Maiori

    Nel pomeriggio discesi a Maiori, un paese che comprende cinquemila abitanti, situato sulla spiaggia all’imbocco di una profonda vallata; il torrente che ha formato nel tempo questa valle causa danni frequenti, e spesso spazza via i giardini e le case.


  
   Le parti più alte della montagna che racchiudono quella valle sono ricche di querce sempreverdi di una taglia minuscola; il sottobosco copre i fianchi; viti e giardini pensili di alberi di arancio riempiono le pendici.
La gente di Maiori è attiva e industriosa, commercia in frutti di produzione propria, e  in

 

macaroni fatti con grano che esportano dalla Puglia: per il loro abile metodo di mescolare e impastare la farina, o per una qualche peculiare eccellenza dell’acqua e del clima, producono la migliore pasta nel regno.

Fui ammesso in un giardino appartenente ad un signore adesso in viaggio che io ammirai con gran piacere per quanto esso era adornato in uno stile felicemente adattato alla posizione e al clima. Il palazzo è pulito e arieggiato e i giardini sono tagliati da canali di acqua limpida, ciascuno dei quali crea forti corsi d’acqua tra ricchi profumati giardinetti oppure cadute di cascate attraverso grotte di conchiglie lavorate e ombreggiati pergolati. Nel suo serraglio fui sorpreso di trovare due galli neri e tre galline grigie con buone piume e salute senza soffrire il caldo di questo clima, che dovrebbe costituire causa di malattia per la costituzione di un uccello che apprezza le alte montagne o fredde paludi. Il loro pasto qui è miglio e verdi foglie di lattuga ed altre piante che crescono nel loro recinto. Questi uccelli furono portati dalle montagne di Genova sopra il golfo della Spezia.

     
     

Da Maiori ad Amalfi

    l giorno dopo alle otto del mattino, andai per mare con una barca a sei remi. Il tempo era mite e piuttosto nuvoloso, il mare perfettamente calmo e di un colore blu scuro: la vista della costa sublime, le alte montagne sembravano venir fuori dal fondo delle onde, coperte di verde alla sommità eccetto alcuni pinnacoli rocciosi che avevano la funzione di diversificare il paesaggio. Giù a metà strada dal lato delle rocce scorsi molti villaggi; sparsi sempre più folti come l’occhio discende, quasi vicino al fondo la superficie è abbastanza ricoperta da case bianche e aranceti; sui punti più spogli e più torreggianti sono posti conventi e chiese, e nelle più profonde vallate che tagliano la catena montuosa, sono uniti i quattro paesi principali della costiera. La spiaggia è rocciosa e spoglia, trasformata in molte forme romantiche, con cavità cupe, sentieri e costruzioni sospese in un modo pauroso sull’orlo, mentre sotto giace la nobile distesa del mare, ravvivato dalle moltitudini di scialuppe leggere che navigano attraverso la sua superficie. Vicino Maiori c’è un’ampia caverna ricca di stalattiti le quali essendo cadute dalla volta sono state sballottate dalle onde fino a renderle lisce e arrotondate: esse sono di un bianco come il latte e ben lucidate, e sembrano le solidificazioni chiamate Confetti di Tivoli.

 

    Noi passammo prima Minori, un piccolo paese che commercia anche in maccaroni, anticamente l’arsenale di Amalfi, poi girando un promontorio noi posammo i nostri remi a contemplare il paese di Atrani che è stretto tra due strapiombi uniti insieme da costruzioni, una strada serpeggia verso l’alto di questa valle che conduce a Ravello e Scala, due città episcopali, o piuttosto villaggi in conflitto, sulla cima della montagna.
     
     

Amalfi

    Giunsi presto alla città di Amalfi; i suoi edifici non sono rimarchevoli per eleganza o per grandezza, e contengono al massimo quattromila abitanti, che hanno l’aria di condurre un esistenza povera. Amalfi è solo un’ombra di ciò che era nel suo stato fiorente, quando si estendeva sulle stupende rocce che stanno sospese su ogni lato tuttora incoronate con muri merlati e torri in rovina. Essa presenta pochi oggetti che possano richiamare alla mente un’idea della sua antica prosperità. La cattedrale è nel meno piacevole di quegli stili architettonici inventati o adottati nelle epoche barbariche, quando le regole e proporzioni greche furono dimenticate. Il campanile è uno dei più brutti di quel tipo, e il portico non ha neanche la leggerezza gotica.

 

Due superbe colonne antiche di granito rosso egiziano piazzate all’entrata del coro, rendono ancora più evidente la bruttezza degli oggetti circostanti. Sotto il coro c’è la cappella e tomba dell’apostolo Sant’Andrea; in onore del quale l’edificio venne dedicato, quando cardinal Capuano nel 1208 portò il suo corpo da Costantinopoli. Questa cripta assomiglia a quella di San Matteo a Salerno nella forma e nella sistemazione dei marmi sulle pareti.

    Vicino all’approdo, c’è un passaggio basso, composto di frammenti di un elegante tempio pagano. Due bellissimi capitelli corinzi, con alcuni pezzi di architrave e lacunari sono sistemati a sostenere l’arco.

 

     
     
     

La Costa e Li Galli

Avendo ricevuto provviste per il pranzo, io m’imbarcai, e navigai lungo la costa fino alla zona di pesca del tonno. La stagione era inoltrata e il lavoro quasi finito, ma uno dei guardiani mi spiegò ogni parte del macchinario. Le reti sono stese su una grande zona di mare per mezzo di cavi fissati ad ancore, e sono divise in parecchi compartimenti. L’entrata è sempre diretta, a seconda della stagione, verso quella parte del mare dalla quale i pesci sono soliti arrivare. Un uomo piazzato alla sommità di una roccia molto alta, dà il segnale che il pesce sta arrivando; poiché egli da quell’altezza può distinguere molto meglio di qualsiasi persona vicina alla superficie che cosa passa sotto le acque. Non appena è dato avviso che il banco di pesci è penetrato almeno fino al compartimento più interno, o camera della morte, il passaggio viene chiuso ed inizia la mattanza. Gli impresari di queste riserve di pesca pagano un riconoscimento al re, qual signore, sulla cui terra essi fissano la dimora principale, o ‘piede’, della tonnara; essi fanno il miglior contratto che possono, e, fintanto che il successo corona i loro sforzi, essi ottengono questo permesso per un piccolo pagamento; ma dopo, l’affitto è aumentato in proporzione al loro bottino. Il tonno appartiene allo sgombro di Linneo tra i toracici ed entra nel Mediterraneo circa all’equinozio d’inverno, viaggiando in una falange triangolare, così da tagliare le acque, e presentare una grossa base per combattere maree e correnti e spingere avanti. Questi pesci si rifugiano nei mari caldi della Grecia per deporre le uova, dirigendo il loro corso verso le coste europee, ma, quando ritornano si avvicinano alla costa africana; i più giovani sono in testa al branco quando viaggiano. Essi ritornano ad est in maggio, ed abbandonano sulle coste della Sicilia e della Calabria. In autunno si dirigono a nord; nelle vicinanze di Amalfi e Napoli; ma durante l’intera stagione occasionalmente si catturano i dispersi.

Quando sono presi in maggio, il periodo solito della loro apparizione nelle baie calabre, essi sono pieni  di uova, e la loro carne è allora ritenuta nociva, adatta a causare mal di testa e vapori; gli spermi e le uova sono particolarmente così in quella stagione. Per prevenire questi cattivi effetti i nativi li friggono nell’olio e poi li salano. La quantità di questo pesce consumata annualmente nelle Due Sicilie è quasi incalcolabile. Dall’inizio di maggio alla fine di ottobre esso viene mangiato fresco, tutto il resto dell’anno, si usa salato. La parte più delicata è la bocca. La pancia salata era chiamata tarantellum, ed era considerata una grande ghiottoneria dai Romani; il suo nome attualmente è surra. Il resto del corpo è tagliato a fette e messo nei mastelli.

Poi doppiammo Capo Conca, chiamato così da un villaggio costruito sul declivio della montagna. Da questo punto la costa, che fino ad allora si estendeva da Nord-Est a Sud-Ovest prende un’improvvisa svolta a Nord-Ovest e forma una profonda curva; dopo la quale essa si slancia in una linea retta fino alla punta della Campanella e l’isola di Capri; la sua estensione supera di molto l’idea che mi ero fatto da un’ispezione delle carte geografiche ed ha un aspetto molto più monotono e spoglio di quella parte che si trova ad est di Conca. Vicino al capo c’è una roccia chiamata l’Asciola, interamente formata di pietra nera calcarea, libera da ogni mistura di ornamenti marini; essa sembra costituire la grande massa interna delle montagne che fiancheggiano la riva. Nella curva si trova Positano. I villaggi diventavano scarsi mentre ci avvicinavamo al mare aperto. Quando lo stretto di Capri cominciò ad aprirsi sopra di noi, ci dirigemmo a Sud-Ovest verso Li Galli, le presunte Sirenuse o isole una volta abitate dalle Sirene, che Ulisse attraversò con tanta cautela e rischio. Grandi mutazioni si sono avute nella forma, misura e numero, per effetto del fuoco sotterraneo; e molte persone dotte sono andate tanto in là da affermare che queste rocce sono sorte dal fondo del mare da quando Omero cantò le sue rapsodie; e di conseguenza, che quei mostri vissero in un altro posto, probabilmente la Sicilia o Capri. La tradizione delle Sirene tipica del posto è molto antica ed universalmente nota; ma che cosa esse fossero veramente, spogliate del loro favoloso e poetico travestimento, non è facile da scoprire. È noto che tutte le isole italiane in prossimità di lingue di terre sporgenti sul mare, erano ritenute essere il posto di residenza o sepoltura di una dea o sirena; dal che noi possiamo arguire che su quei promontori una volta vivevano alcune femmine sovrane, in tempi di cui non esistono testimonianze. Poiché gli antichi germani e greci erano soliti dare obbedienza a persone del sesso più debole, non è assurdo supporre che gli antichi abitanti d’Italia forse derivavano dalla stessa razza, ed erano anche soliti affidare lo scettro nelle mani di una donna. Il posto che ella sceglieva come sua residenza era, senza dubbio, molto ben fortificato, e ben situato perché i suoi sudditi pirati attaccassero e intercettassero vascelli che navigavano quei mari in età in cui era impossibile navigare ad una certa distanza dalla terra. Così esse possono essere apparse formidabili agli occhi degli uomini con la violenza e con imprese di guerra; ma è più naturale dare alle Sirene il potere nelle arti e nelle corruzioni delle pace, è più consono all’idea che di esse ci siamo fatte. I dolci luoghi appartati che abbondano nella penisola sorrentina, gli incantevoli panorami, l’abbondanza di tutte le cose necessarie ed anche dei lussi della vita e la dolce temperatura del clima non possono mancare di attirare gli stranieri: lì essi devono avere acquistato senza accorgersene un gusto per il piacere e l’indolenza che snervava sia i loro corpi che le loro menti e reso ogni altro paese odioso per loro. Forse in tempi assai remoti, quando l’Italia era posseduta da altre nazioni i cui nomi propri sono oggi sconosciuti, ci fu un periodo di ricchezza, di eleganza, raffinatezza e cultura cui seguirono secoli di barbarismo che hanno cancellato tutti i ricordi di esso: i sudditi delle Sirene possono allora essere stati eccelsi nelle arti e nelle scienze. L’interesse e la politica potrebbero averli resi assai ingegnosi ed industriosi nell’attirare gli stranieri nelle loro residenze, ed ugualmente esperti nel corrompere le loro menti con il vizio e l’effeminatezza. Noi sappiamo quasi certamente che la cultura fiorì in questa parte dell’Europa prima della guerra di Troia, ma essa era probabilmente nelle mani dei sacerdoti; gli antichi riti praticati sulla riva del lago d’Averno rafforzarono questa opinione, la superstizione chiamata in aiuto del vizio deve essere stata irresistibile e reso assai pericoloso per un avventuriero approdare in qualsiasi porto di questa costa. Queste isole sono cinque; sulla più grande c’è una torre di guardia e quella successiva ha un eremo deserto. Toccammo terra su quella principale in una grotta formata da una spaccatura nella grande massa di rocce; una folla di pescatori era venuta dentro a mangiare e ad asciugare le reti. L’isola è solo uno stretto spigolo semicircolare coperto da un leggero strato di terra; altre due piccole isole ed alcune rocce frastagliate che affiorano appena dalle onde corrispondono con questa così da tracciare il contorno di un cratere vulcanico. Sono tutte principalmente di roccia calcarea estremamente compatta, disordinata e confusa con masse di breccia disposte in maniera assai irregolare; sotto queste c’è lava, e più l’occhio scende in profondità più forti sono i segni del fuoco; sotto la superficie dell’acqua, ed alcuni punti sopra di essa, gli strati sono interi blocchi di basalto. Da ciò è giusto presumere che fuochi centrali hanno portati alla luce le sostanze combuste che originariamente giacevano vicino al loro centro, con tutti gli strati intermedi che li coprirono dal mare. Gli strati si inclinano verso il basso da Est ad Ovest; l’aria sembra essersi fatta strada in parte dalla massa vulcanica mentre era in fusione, lasciando molte cavità all’interno di essa quale testimonianza del suo lavorio.

Queste isole sono incolte e disabitate da quando il vecchio eremita di S. Antonio morì. Il mirto ricopre la maggior parte della superficie, ma penso che i fichi ed i crespi di cui alcune piante sono spuntate nelle crepe della roccia, crescerebbero bene qui e produrrebbero una quantità di frutta che potrebbe essere scambiata con una provvista di cibi sufficiente a mantenere alcune famiglie, ed una cisterna potrebbe contenere l’acqua necessaria per il loro uso.

Il nostro pilota che fungeva da cuoco, aveva procurato una assai ricca scorta di patelle, gamberoni e cefali rossi, presi mentre io stavo esaminando la roccia. Il piacere del posto fu aumentato dalla selvatichezza dello scenario.

Di là facemmo vela oltre il canale di Capri e passammo davanti a Donerana [Nerano], ultimo borgo costiero a sud di Punta Campanella. È celebre per i suoi marinai. Si favoleggia che sulla spiaggia convengano spiriti maligni, vittime dell’antico fascino delle Sirene, demoni pagani. Le vigne di Donerana troneggiano tra folti lentischi. Le virtù astringenti di queste piante trapassano nel vino, che quasi soffoca, allorché chi ne abbia bevuto molto si corica di schiena, posizione tipica dei napoletani. Questo pesante timore prende sempre loro qui, essendo sufficiente a intimorire queste persone ignoranti; ma un’altra circostanza fa crescere la paura: le loro orecchie sono investite da continui rolli e rumori di sassi che rotolano sopra di essi. La spiegazione è la seguente: le pietre sono a mezza collina vicine ad un immenso deposito di sassi, portati da un torrente; il rifiuto della cena, che è gettata sopra questi sassi attira una miriade di ratti, che combattono per la preda. Questi animali provocano un prodigioso squittio e nella lotta fanno cadere le pietre smosse nel corso d’acqua.

Noi presto doppiammo il capo e corremmo in quattro ore attraverso il golfo di Napoli.