Edouard Gautier D’Arc (1825)


 

 

Edouard Gautier D’Arc (1799-1843)

     Edouard Gautier D’Arc (1799-1843) compie un viaggio ad Amalfi alla ricerca delle celeberrime Tavole Amalfitane, tra i primi precorritori della visita della Costa a fini culturali e di approfondimento scientifico, in particolare per quanto riguarda la storia e l’arte medievale, epoca d’oro della città ducale; il motivo era legato alla notizia che qualche napoletano aveva riferito al grande storico Pardessus che il manoscritto di quelle famose leggi si trovavano presso la famiglia Pansa di Amalfi. Del viaggio per Amalfi (1825) pubblica un resoconto scientifico Voyage de Naples a Amalfi par Castellamare et Pompeia; extrait d’un Voyage inédit en Italie pendant les années 1824-1827, nella “Revue Encyclopédique” del 1827. Egli compie il viaggio con un amico partendo dal porto di Napoli il 14 luglio sbarca a Castellammare dove pernottano; all’alba ripartono, via terra, passando per Pompei, Nocera e Cava e Marina di Vietri da dove si imbarcano per approdare ad Atrani e, poi raggiungere Amalfi, da dove, secondo il percorso già sperimentato, ritornano a Napoli.

 
     

    Le grida dei nostri marinai salutarono Atrani. Questa piccola città che vista dal mare presenta un colpo d’occhio molto bello a causa della singolarità dei suoi campanili variopinti e della sua posizione romantica nel mezzo delle rocce e al di sopra di una costa che sembra sostenerla da un lato della riva, non merita che essere visitata all’interno.



    Il desiderio di visitare una fabbrica di questi maccaroni, così famosi per la gastronomia, mi aveva costretto ad attraccare, e fui sorpreso dall’eccessiva irregolarità delle strade, quanto che dalla brutta costruzione delle case. Ci introducemmo in una di quelle fabbriche che tanto desideravamo visitare, ammirammo con tanto piacere e sorpresa l’eccessiva pulizia che presidiava la confezione di queste diverse paste, fatte solamente di farina di farro pressata, alla quale si dava una forma qualunque, della taglia di una vite di pressione che la faceva passare per uno stampo di latta. Avendo visto qualche giorno prima, a Torre dell’Annunziata, delle donne imprimere delle forme alle paste che lavoravano con le loro dita, e il metodo degli abitanti di Atrani ci sembrò più adatto e spedito del sistema di fabbricazione adottato dalle famiglie della Torre.

    Ci rimbarcammo, dopo questa piccola escursione, e qualche colpo di remo ci aveva trasportati sulle illustri spiagge di Amalfi. Dove sono i mille bastimenti che portavano poc’anzi ai bordi del mondo la bandiera della repubblica trionfante? Mostratemi i cantieri in cui le costruzioni senza fine rinascono coprendo il mare di veli innumerevoli. In quale palazzo si riunivano quei senatori le cui leggi così sagge furono state adottate dalle diverse regioni d’Italia? Tre barche di pescatori, delle reti, qualche casa di una così triste apparenza, poste tuttavia nel più pittoresco sito; in primo piano un piccolo palazzo, ornato di brillanti colori, ecco tutto quello che resta oggi di Amalfi. Due rocce a strapiombo che difendono la città dai venti del nord, donando a questo insieme un carattere così particolare che non potrà essere reso mai da un pittore. Il pilota ci mise a terra su una distesa di sabbia fine, e ci indicò la dimora dell’agente consolare di Francia, un piccolo edificio elegante costruito presso la riva. Il signor Lucibello, negoziante del paese, incaricato dal consolato di Francia a Napoli degli interessi francesi, era assente;  ma suo fratello ci fece la migliore accoglienza. Il mio primo incarico fu quello di pregarlo di portarci dalla famiglia Pansa, che si diceva possedesse il manoscritto oggetto delle nostre ricerche.
Ci instradammo attraverso strade strette e miserabili fino alla dimora dell’avvocato Pansa.

 

 Qui uno spettacolo nuovo ci attendeva. La casa dove ci introducemmo, per altro molto pulita, era interamente decorata di mobili, così gotici che dovevano datare almeno dei bei giorni della repubblica amalfitana, che questa loro ricchezza sembrava ancora indicare; e, come per far risaltare di più la loro vetustà, tre giovani ragazze, in tutta la loro freschezza di gioventù, occupavano delle poltrone a confronto delle quali quella di Dagoberto, che  si conserva alla biblioteca del re, sarebbe potuto sembrare moderna. Questo aspetto mi fece concepire le più felici speranze per la mia ricerca; credevo già di sentire l’odore polveroso del manoscritto, odore così soave per i nervi olfattivi del bibliofilo; i miei occhi figuravano già in lettere gotiche queste parole tanto desiderate: Tabulae Amalfitanae. Ma, o disappunto, il signor Pansa mi porta una lunga e pesante storia di Amalfi, scritta poc’anzi da un membro della sua famiglia. Volli percorrere rapidamente la cronaca di Giuseppe Pansa, e ci raccolsi i seguenti fatti… Prima di congedarci dal nostro vecchio avvocato, gli domandammo se non esisteva in Amalfi qualche archivio o biblioteca da consultare. Alla sua risposta negativa, prendemmo congedo da lui e dalle sue affascinanti ragazze, e ci incamminammo verso la parte superiore della città che si prolunga nelle profondità di un enorme burrone. Le due rocce calcaree che ci dominavano sembravano essere state separate da un terremoto. Al fondo filtra un ruscello che, passando sotto due ponti posti a delle altezze impari, è di un più felice effetto: uno di questi due ponti serve da sostegno ad una forgia. Discendendo il suo corso, ci rendemmo conto che le sue acque alimentavano, all’interno della città, una fabbrica di una così triste apparenza.



    Visitammo in seguito un chiostro la cui architettura ad ogive piene e intrecciate ci sembrò di uno stile rimarchevole; e da lì passammo alla chiesa la cui costruzione originale ci aveva colpiti dal nostro arrivo. Questo edificio, molto elevato al di sopra del piano della grande piazza, sulla quale è situato, non ci stupì meno della moltitudine bizzarra di piccole colonne di ordini e di colori diversi che sostenevano il suo portale, che per la screziatura del suo campanile, ornato di strisce bianche e nere.